Avvenire 06-08-2010
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- Pubblicato Martedì, 15 Maggio 2012 08:48
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Gli Insorti
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- Pubblicato Martedì, 15 Maggio 2012 08:39
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Gli insorti
A combattere il governo del presidente Hamid Karzai e la coalizione che lo sostiene è un arcipelago composito di insurgens. Si tratta, nei fatti, di un’alleanza formata da ex combattenti del Jihad antisovietico come lo Jamiat Jaishal Muslemeen (Jim, guidato da Maulwi Muhamad Ishaq Manzoora) e dallo Hizb-e-Islami di Gulbudin Hekmatyar, ex acerrimo rivale del “leone del Panshir” Ahmed Shah Massud, passato alla storia per aver difeso la sua vallata dall’occupazione delle truppe sovietiche. Ci sono poi i Taliban del Mullah Omar e diverse fazioni e gruppi che hanno come referenti Al-Qaeda. Infine, intorno a Kandahar, sono attivi ex comandanti mujihaidin autonomi come Sayyed Muhammad Akbar Agha.
La Missione
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- Pubblicato Martedì, 15 Maggio 2012 08:37
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La missione
Con l’approvazione della risoluzione n. 1386, il consiglio di Sicurezza dell’Onu ha autorizzato, il 20 dicembre 2001, il dispiegamento in Afghanistan di una Forza multinazionale denominata Isaf (International Secutity Assistance Force), con il compito di assistere le istituzioni politiche afgane a mantenere la sicurezza nel Paese. Dall’agosto 2003 la responsabilità dell’operazione Isaf è stata assunta dalla Nato e viene eseguita, con comandi a rotazione, da militari appartenenti a 38 nazioni. Dal comandante di Isaf (attualmente il generale David Petraeus) dipendono cinque comandi regionali: North, West, South, East e Capital nonché i Prt (Provincial Reconstruction Team), organizzazioni miste civili e militari che si concentrano sui processi di ricostruzione socio-economica. L’Italia, dal 4 agosto 2005 e per nove mesi, ha avuto la leadership dell’Isaf VIII, al comando del generale di corpo d’armata Mauro Del Vecchio.
Dal 20 aprile 2010 il contingente nazionale di stanza a Herat, che opera nel Regional Command West, zona sotto responsabilità italiana, è al comando del generale Claudio Berto, che in Italia guida la brigata alpina Taurinense. Il Regional Command West si estende su un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale grande quanto il Nord Italia e comprende le province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah. Nel Regional Command West sono presenti 6mila militari di 12 nazioni: 3.227 sono italiani. Di questi, 1800 sono alpini e si dividono in tre Task Forces - North, Center, South - a Bala-Murghab, Shindand, Farah. A Herat sono presenti anche uomini e mezzi della marina militare, dell’aeronautica, dei carabinieri e della guardia di finanza.
Nei prossimi mesi il contingente italiano sarà impegnato nelle elezioni parlamentari di settembre con l’operazione “Census”: 20 controlli al giorno per verificare la sicurezza di 1113 seggi elettorali e sventare eventuali attentati. Anche qui è richiesto il massimo sforzo agli Alpini che, il 16 giugno scorso, hanno festeggiato nella base di Shindand i 95 anni del terzo reggimento.
Le Mine
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- Pubblicato Martedì, 15 Maggio 2012 08:38
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Le mine
Per la Ong inglese Halo Trust, dall’invasione sovietica a oggi, cioè in trent’anni, sono almeno 640mila le mine sparpagliate per l’Afghanistan. Sono ordigni antiuomo e anticarro. A queste si sono aggiunti tutti gli ordigni, come le cluster bombs, sganciati dagli Usa appena iniziata la guerra contro il regime Taliban: solo nel periodo 2001-2002 pare siano state sganciate 250mila cluster bombs. Il risultato è che, in trent’anni, 400mila afgani – quasi tutti civili – sono stati uccisi o mutilati dalle mine. Gli esperti dicono che per bonificare completamente il territorio afgano, ai ritmi attuali, ci vorrebbero più di quattromila anni.
Intervista al generale Berto
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- Pubblicato Martedì, 15 Maggio 2012 08:33
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CAMP ARENA (HERAT) - «Sono un fermo sostenitore della dottrina McChrystal e sono convinto che il suo sia stato il modo migliore di condurre le operazioni in Afghanistan». Il generale Claudio Berto, a capo del Regional Command West, si esprime così, alla luce della rimozione, decisa dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, del General Commander statunitense dall’incarico assunto nel giugno 2009.
«Il punto di forza della dottrina McChrystal – continua Berto – è concentrare tutte le attività militari nella protezione della popolazione. Da questa scelta derivano una serie di attenzioni, azioni o inazioni fondamentali in questo teatro di guerra».
Ad esempio?
«A Farah e Shindand siamo riusciti a conquistare e mantenere libertà di movimento sul territorio sia di giorno che di notte. La popolazione collabora attivamente con noi, segnalandoci pericoli, ordigni esplosivi improvvisati nelle strade di passaggio dei convogli, ci chiede protezione dagli insorgenti».
Non si può ancora dire lo stesso della zona a Nord-Ovest, a Bala Murghab.
«Qui siamo ancora nella fase di allargamento della cosiddetta bolla di sicurezza – un’area che presidiamo con dei capisaldi – e che adesso si estende fino a quasi 10 chilometri intorno alla base. Con questa operazione, denominata “Buongiorno”, ed eseguita spalla a spalla, un chilometro al giorno, insieme a militari afgani e americani, abbiamo fatto in modo che la popolazione sfollata altrove potesse tornare ad abitare nei villaggi vicini per lavorare la terra».
Ma, ad un chilometro al giorno, quanto tempo durerà la missione della Nato in Afghanistan? «Le attività contro gli insorgenti sono il fattore cruciale della riuscita della missione. Credo che riusciremo ad andarcene in un lasso ragionevole di tempo, quando le forze di sicurezza afgane riusciranno a prendere in mano la situazione da sole».
Non è la prima volta per lei, nel Paese. Nel 2003 era un comandante di livello tattico. I rischi per le forze Isaf sono diminuiti o sono aumentati sul terreno?
«La situazione del 2003 era quella di un Paese appena liberato, in fase di ricostruzione subito dopo la guerra, e l’esercito afgano era stato appena reclutato. Il rischio per le truppe Isaf, oggi, è più o meno lo stesso di allora, anche se la campagna condotta dai Taliban con gli ordigni esplosivi è più complessa da affrontare. Nonostante questo, in città come Herat la vita è tornata normale».
Ma lei pensava che sarebbe ritornato qui dopo sette anni?
«No, pensavo che il problema si risolvesse prima. Ma a volte non si tengono sufficientemente in conto le lezioni del passato: se guardiamo all’esperienza britannica in Malesia dove è nato il famoso motto “conquistare i cuori e le menti della popolazione”, ci rendiamo conto che qui, con McChrystal, si stava perseguendo questo obiettivo con particolare vigore, mentre prima era una strategia di secondo piano. McChrystal ci ha insegnato che le operazioni militari si possono fare anche così».