Gaza, se c'è un motivo per diventare atei

Infografica Weapon Compare

L'elicottero si abbassa sul palazzo. Il rumore aumenta, raddoppia. Gli elicotteri sono due. Le pale sono vicinissime al terrazzo dell'edificio. Alzo la testa, posso quasi scorgere il pilota. Il ronzio è incessante. Mi sento minacciata. Ho paura, una paura inconscia e incontrollata che un mitragliere possa sparare su di noi da quell'altezza. Il mio cervello si sforza di aprire un varco nella mia coscienza: non sei in Siria, sei tornata dalla Siria, sei a Milano. Non può accadere nulla, non può accadere nulla. I miei colleghi parlano, non riesco ad ascoltarli. Il rumore delle pale dell'elicottero mi riesce insopportabile, si fonde e confonde con il ronzio dei droni rimasto nella mia memoria sonora dopo il viaggio in Afghanistan.


Dov'è finita quella bambina che contava stupita gli aerei e gli elicotteri nel cielo terso di Catania, in certe sere d'estate troppo calde, quando le stoppie della campagna verso l'orizzonte erano andate bruciate e i vigili del fuoco spegnevano gli ultimi focolai? Dov'è finita la stessa bambina che aspettava sul balcone l'atterraggio dell'aereo che avrebbe dovuto riportarle a casa i genitori lontani, tornati da un lungo viaggio?


Quella bambina non c'è. Ha iniziato a uccidere la sua innocenza una notte d'estate del 1991, ascoltando i caccia F16 americani che si rifornivano di carburante, in un via vai incessante sulla pista aerea Nato di Sigonella. Quello era un rumore diverso, un sibilo prolungato, una schioppettata lanciata dall'emisfero boreale verso un punto tendente a infinito. La processione dei caccia si percepiva con queste modalità di suono alle prime luci dell'alba ma all'inizio della notte il sibilo era quasi un rantolo: avevo sempre pensato che la ragione fosse dovuta al carico delle bombe che ne appesantiva il "respiro".


Anni dopo quella stessa bambina avrebbe toccato il suolo di Baghdad;

 

avrebbe conosciuto chi in quelle notti ricevette il carico di morte sulla testa; avrebbe condiviso il dolore di una famiglia che abbracciò quel che restava dei corpi dei padri e delle sorelle: un tronco, una testa. Avrebbe amato un uomo segnato da quel destino senza mai riuscire a riempire con quell'amore la voragine che il baco della follia in guerra scava senza chiedere permesso. Avrebbe abbracciato piangendo una donna americana la cui sorella era morta in quel fatidico 11 settembre e che dal 2003 varcava l'Iraq in lungo e in largo per chiedere scusa per colpe non sue.


Di quella bambina non c'è nemmeno l'ombra. Adesso, sotto questo elicottero che monitora una manifestazione di piazza in Italia, c'è una donna che sta contenendo il ricordo del suono della guerra da una reazione senza controllo, una reazione che non ha mai avuto lì dove c'era la guerra. Perchè la paura va inghiottita e masticata, quando puoi, se sei lì. Ma se l'hai dominata al momento giusto, ti assale come un ladro, quando meno te l'aspetti, nella vita quotidiana.


"Il giorno in cui la paura arriverà sarà il tuo battesimo": erano parole che aveva sentito due anni prima da una persona amata con molti più anni di esperienza di lei sul campo. Ecco, ecco cos'è la guerra. Una presenza infestante che si insinua senza clamori nel sottobosco della tua vita quotidiana.


Così, adesso che tutti scrivono e parlano di Gaza e Israele, e sembra quasi una vergogna non prendere parte al dibattito schierandosi, questa vecchia bambina vorrebbe spiegare a tutti quelli che si riempiono la bocca di ipotesi o, peggio, di insulti, cosa significa avere sulla testa un drone, un elicottero mitragliatore, attendere una minaccia da un altrove non bene identificato e provare un senso di impotenza assoluto perchè non sai il dove, il come, il quando. In una condizione come questa è difficile restare umani.


Forse è per questo, si chiede la vecchia bambina, che chi ha in mano un'ipotesi di potenza bellica, di mare, di terra, di aria, si appella a Dio, dice di combattere per Dio. Lo fa perchè ha rinunciato a restare umano, debole, inerme. Lo fa perchè ha deciso di sostituirsi a Dio, di essere come lui, di essere Lui. Per questo, in guerre come questa, dove la parola Dio si sente ripetere da ogni parte, dove tutti scomodano Dio per qualche turpe ragione, ti prende una voglia irrefrenabile di ateismo.


Ecco, se rinunciare a nominare Dio invano in mezzo a ogni guerra equivalesse a essere scambiati per atei; se restare umani e inermi significasse farsi passare per miscredenti; se patteggiare per una religione monoteista sorella piuttosto che un'altra non fosse prova di coerenza religiosa o politica, ecco quell'ateo vorrei essere io. Non vorrei darla vinta a chi dice che senza Dio, forse, si può restare più umani. Ma qualche volta, con un certo pudore, a costo di darvi scandalo, mi tocca ammetterlo.

 

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