Isis e infibulazione: i cittadini di Mosul confermano la bufala
- Dettagli
- Categoria: Coexist
- Pubblicato Venerdì, 25 Luglio 2014 19:25
- Scritto da Battgirl
E’ davvero difficile, quando una notizia falsa sia stata accreditata da organi di stampa ufficiali e si sia verificata la sua inattendibilità, farle fare il percorso inverso. Trovare una via per smentirla. Una via altrettanto ufficiale. Soprattutto se la notizia già diffusa sia stata colpevolmente presa per buona addirittura da un rappresentante delle Nazioni Unite.
Il rappresentante in questione è Jacqueline Badcock che martedì 22 luglio ha messo il cappello su una notizia nata nelle fucine di Adn Kronos Italia, ripresa dal quotidiano italiano “Il Giornale” e alimentata da altri siti della stampa occidentale., secondo cui IS avrebbe ordinato la circoncisione femminile nel territorio attualmente di sua auto-proclamata giurisdizione per le donne dagli 11 ai 46 anni di età.
Appena la Badcock ha fatto sua la notizia, è stata battuta anche da The Guardian, BBC e Al Jazeera con il crisma dell’ufficialità, nonostante lo Stato Islamico l’abbia smentita e i network ne rendano comunque conto. Ad oggi, i media mainstream più accreditati, come BBC, aggiornano la notizia sollevando dubbi sulla stessa.
L’affermazione si basa su un decreto di IS postato su Twitter. Ma l’account non è uno degli account ufficiali e/o affiliati a IS e IS stesso ha provveduto a smentire il decreto.
Per chi abbia familiarità con i messaggi di IS quel decreto è un falso evidente: lo spiega bene Lorenzo Trombetta, giornalista e arabista italiano, tra i massimi esperti mondiali di Siria e dei nuovi gruppi terroristici che la stanno infestando. Oltre a ribadire un concetto che gli arabisti non si stancano mai di ripetere – ossia che l’infibulazione non è una pratica islamica, è una pratica pre-islamica e tribale e che non mai stata ordinata o incoraggiata da autentici imam, bensì denunciata dalle autorità religiose dei Paesi musulmani – il documento presenta molte incongruenze linguistiche e formali: dalla data, al marchio del gruppo, alle fonti usate e citate per legittimarla come una misura “islamica”, fino alla firma del “Califfo” al-Baghdadi, che si riduce al nome che egli ha acquisito in battaglia, senza l’apparato di nome di origine, patronimico e appartenenza tribale.
Scrive inoltre Trombetta: “Il testo, che presenta numerosi errori tipografici, si basa inoltre su presunti detti attribuiti al profeta Maometto, ma le fonti usate non sono quelle solitamente citate per sostenere la validità della tradizione profetica. In particolare si citano alcuni trasmettitori di detti (ahadith) di Maometto, ma questi personaggi risultano sconosciuti – se non inventati – a chi studia la scienza dell’autenticazione degli ahadith del Profeta. Qui una ulteriore conferma da The Independent.
A conferma e sostegno dell’analisi di Trombetta, ci siamo permessi di fare la prova del nove e chiedere a due fonti che vivono ancora in Mosul, se abbiano mai visto questo editto o sentito di esso. Le fonti, consultate ieri sera, e di cui non fornisco le generalità per motivi di sicurezza, ma che posso dire essere entrambi giovani, maschi e musulmani, riferiscono di questa situazione e condividono gli ultimi documenti ufficiali prodotti da IS nella città. Ma non c’è traccia del documento che Adn kronos ha battuto, lanciandolo come un proclama ufficiale.
Prima fonte Y. : “Tutti i proclami di IS che IS intende rendere validi a Mosul, vengono pubblicati su account ufficiali on line ma, soprattutto, vengono distribuiti per noi e appesi nella Grande Moschea di Mosul, quella dove al-Baghdadi ha tenuto il suo primo discorso ufficiale.
"Innanzitutto, riguardo a questo documento, è evidente la sua non autenticità perché la stampa non è corretta”. La fonte, evidenziando esattamente gli stessi difetti di cui parlava Trombetta, aggiunge: “E’ evidentemente falso. Se fosse stato vero, l’avrebbero fatto girare ovunque e in tutte le moschee per obbligarci ad applicare la loro legge. E sarebbe stato pubblicato in prima battuta nella Grande Moschea”.
A riprova, la fonte invia due documenti “originali” di IS, distribuiti in fotocopie da IS nelle moschee per consentirci il confronto. Il primo (in basso) è un documento che regolamenta il mercato degli affitti delle case. “IS – dice la fonte – “calmiera” il mercato e desidera abbassare le quote di pagamento degli affitti e renderle uguali per tutti i cittadini di Mosul.
Il secondo (ancora in basso) si riferisce all’uso dei generatori di corrente che – dice l’editto – devono essere accesi per 10 ore, non di più, e il costo di un gallone deve essere di 7mila iraqi dinars, non di più”.
Nulla è stato diffuso o discusso a proposito di moralità o di costume? La seconda fonte, M. comunica: “L’unico editto in merito diffuso ha forzato i commercianti a porre dei veli neri sui volti dei manichini nei negozi, questo perché è proibito utilizzare statue o comunque rappresentare la figura umana secondo la sharia, in accordo con ciò che afferma il Corano”. La notizia è confermata e corredata fotograficamente ancora da The Independent.
Nulla che riguardi la circoncisione femminile? “No, mai sentito. Assolutamente no. Confermo che hanno distribuito l’editto secondo cui tutte le donne devono circolare velate, i jeans sono banditi e lo è ogni forma di abbigliamento occidentale (foto sotto).Posso dire che per il momento sono molto concentrati sulle minoranze religiose e tribali, dai cristiani di tutte le specie agli yazidi e turcomanni, dagli sciiti ai sufi. Anzi, posso dire che sono molto meno morbidi con i musulmani che si mostrano ostili che con tutti gli altri. Hanno distrutto la tomba di Jona e la moschea sconsacrata dell’imam Aoun Bin al-Hassan. Le minoranze scelgono forzatamente di andare via. E’ un incubo”
La fonte Y aggiunge: “Il documento che la stampa occidentale ha fatto circolare non è stato diffuso da nessun organo di stampa iracheno appunto perché non è corretto e nessuno l’ha preso sul serio, ma comunque non possiamo escludere che in futuro IS non possa fare un editto anche su questa pazzia o su tutte quelle che abbiano in mente. Chi può dirlo? Vi dico che andranno avanti finché qui la gente non scoppierà. Gli abitanti di Mosul hanno iniziato ad odiarli e quelli che siamo rimasti siamo quasi tutti musulmani. Al posto di dare spazio a false notizie, perché non fate arrivare nelle sedi opportune il nostro disappunto e la nostra riprovazione nei loro confronti. Fate qualcosa o starete a guardare come avete fatto e continuate a fare per la Siria?”
Gaza, se c'è un motivo per diventare atei
- Dettagli
- Categoria: Coexist
- Pubblicato Lunedì, 19 Novembre 2012 22:57
- Scritto da Battgirl
L'elicottero si abbassa sul palazzo. Il rumore aumenta, raddoppia. Gli elicotteri sono due. Le pale sono vicinissime al terrazzo dell'edificio. Alzo la testa, posso quasi scorgere il pilota. Il ronzio è incessante. Mi sento minacciata. Ho paura, una paura inconscia e incontrollata che un mitragliere possa sparare su di noi da quell'altezza. Il mio cervello si sforza di aprire un varco nella mia coscienza: non sei in Siria, sei tornata dalla Siria, sei a Milano. Non può accadere nulla, non può accadere nulla. I miei colleghi parlano, non riesco ad ascoltarli. Il rumore delle pale dell'elicottero mi riesce insopportabile, si fonde e confonde con il ronzio dei droni rimasto nella mia memoria sonora dopo il viaggio in Afghanistan.
Dov'è finita quella bambina che contava stupita gli aerei e gli elicotteri nel cielo terso di Catania, in certe sere d'estate troppo calde, quando le stoppie della campagna verso l'orizzonte erano andate bruciate e i vigili del fuoco spegnevano gli ultimi focolai? Dov'è finita la stessa bambina che aspettava sul balcone l'atterraggio dell'aereo che avrebbe dovuto riportarle a casa i genitori lontani, tornati da un lungo viaggio?
Quella bambina non c'è. Ha iniziato a uccidere la sua innocenza una notte d'estate del 1991, ascoltando i caccia F16 americani che si rifornivano di carburante, in un via vai incessante sulla pista aerea Nato di Sigonella. Quello era un rumore diverso, un sibilo prolungato, una schioppettata lanciata dall'emisfero boreale verso un punto tendente a infinito. La processione dei caccia si percepiva con queste modalità di suono alle prime luci dell'alba ma all'inizio della notte il sibilo era quasi un rantolo: avevo sempre pensato che la ragione fosse dovuta al carico delle bombe che ne appesantiva il "respiro".
Anni dopo quella stessa bambina avrebbe toccato il suolo di Baghdad;
avrebbe conosciuto chi in quelle notti ricevette il carico di morte sulla testa; avrebbe condiviso il dolore di una famiglia che abbracciò quel che restava dei corpi dei padri e delle sorelle: un tronco, una testa. Avrebbe amato un uomo segnato da quel destino senza mai riuscire a riempire con quell'amore la voragine che il baco della follia in guerra scava senza chiedere permesso. Avrebbe abbracciato piangendo una donna americana la cui sorella era morta in quel fatidico 11 settembre e che dal 2003 varcava l'Iraq in lungo e in largo per chiedere scusa per colpe non sue.
Di quella bambina non c'è nemmeno l'ombra. Adesso, sotto questo elicottero che monitora una manifestazione di piazza in Italia, c'è una donna che sta contenendo il ricordo del suono della guerra da una reazione senza controllo, una reazione che non ha mai avuto lì dove c'era la guerra. Perchè la paura va inghiottita e masticata, quando puoi, se sei lì. Ma se l'hai dominata al momento giusto, ti assale come un ladro, quando meno te l'aspetti, nella vita quotidiana.
"Il giorno in cui la paura arriverà sarà il tuo battesimo": erano parole che aveva sentito due anni prima da una persona amata con molti più anni di esperienza di lei sul campo. Ecco, ecco cos'è la guerra. Una presenza infestante che si insinua senza clamori nel sottobosco della tua vita quotidiana.
Così, adesso che tutti scrivono e parlano di Gaza e Israele, e sembra quasi una vergogna non prendere parte al dibattito schierandosi, questa vecchia bambina vorrebbe spiegare a tutti quelli che si riempiono la bocca di ipotesi o, peggio, di insulti, cosa significa avere sulla testa un drone, un elicottero mitragliatore, attendere una minaccia da un altrove non bene identificato e provare un senso di impotenza assoluto perchè non sai il dove, il come, il quando. In una condizione come questa è difficile restare umani.
Forse è per questo, si chiede la vecchia bambina, che chi ha in mano un'ipotesi di potenza bellica, di mare, di terra, di aria, si appella a Dio, dice di combattere per Dio. Lo fa perchè ha rinunciato a restare umano, debole, inerme. Lo fa perchè ha deciso di sostituirsi a Dio, di essere come lui, di essere Lui. Per questo, in guerre come questa, dove la parola Dio si sente ripetere da ogni parte, dove tutti scomodano Dio per qualche turpe ragione, ti prende una voglia irrefrenabile di ateismo.
Ecco, se rinunciare a nominare Dio invano in mezzo a ogni guerra equivalesse a essere scambiati per atei; se restare umani e inermi significasse farsi passare per miscredenti; se patteggiare per una religione monoteista sorella piuttosto che un'altra non fosse prova di coerenza religiosa o politica, ecco quell'ateo vorrei essere io. Non vorrei darla vinta a chi dice che senza Dio, forse, si può restare più umani. Ma qualche volta, con un certo pudore, a costo di darvi scandalo, mi tocca ammetterlo.
Tarantino Style Jihad
- Dettagli
- Categoria: On the fields
- Pubblicato Martedì, 17 Giugno 2014 10:54
- Scritto da Battgirl
Chissà se Quentin l’avrebbe mai sospettato, che il suo stile avrebbe fatto scuola anche fra i nuovi conquistatori del Mashrek, i propagandisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Se guardasse la serie dei video Clanging of the swords, dal primo all’apoteosi del quarto, non avrebbe più dubbi.
Su questo sito http://justpaste.it/Saleel_As_Sawarim4 ne potrebbe trovare forniture a bizzeffe ma c’è una notevole differenza tra i primi tentativi e l’ultimo. La regia è davvero superlativa, i device sono high quality and pro e lo splatter da grand guignol ha lasciato spazio a un umorismo nero che emerge dai continui richiami alla shahada, la professione di fede. Senza contare che il movie in questione è stato sfornato da una vera e propria casa di produzione, al-Furqan media.
Guardate il video qui, sul sito che raccoglie, per tutti gli analisti sul tema del jihad, i migliori documenti da tutto il mondo.
Il video si apre con la solita mappa della terra in tre D, tipica di tutti i movie religiosi che spiegano i pilastri della sunna, la nascita dell’universo, la presenza di Dio nel mondo. Prosegue con l’elaborazione in tre D di immagini satellitari e poi inizia a mostrarci tecnicamente il meglio: una sequenza realizzata da elicottero, girata in GoPro Hero, per mostrare la conquista di Falluja, benedetta da Allah.
La GoPro viene utilizzata in tutte le riprese di azione violenta, alternata con un’altra camera professionale. E la narrazione vuole mostrare nel più breve tempo possibile quanti supposti civili (in realtà soldati dell’esercito regolare iracheno che si erano travestiti da civili per fuggire) siano stati crivellati di colpi dai miliziani di Isil, in inseguimenti stradali consecutivi e in uno stile che ricorda il meglio di Tarantino ma che stuzzica la prima familiarità del pubblico con tutti i videogiochi di guerra, in particolare con “Call of Duty”.
Un prodotto di questo genere è un grandissimo colpo ben sferrato dalla propaganda e dalla strategia di conquista di Isil (guarda le infografiche del NYT nel link precedente, ndr) e conferma quanto già noto prima.
Guardando gli altri movie/video messaggi di Islamic State of Iraq and al-Shams, dai titoli da saga di Game of Thrones in salsa islamica (Messages, from the land of Epic Battles #22, But who is better than God in Judgement, e He named you Muslims) e le dichiarazioni di Sheik Abu Waheeb - uno degli ufficiali di Isil e spokesman di nazionalità kosovara come molti altri combattenti stranieri in Siria e Iraq, che lancia la fitna “Noi conquisteremo Gerusalemme, distruggeremo gli eredi di Isacco, ci prenderemo Roma e la Spagna ritornerà nostra” - una cosa è drammaticamente chiara.
Che la guerra in Jugoslavia, l’11 settembre, le guerre del Golfo, l’occupazione dell’Afghanistan, i droni in Pakistan e Yemen, hanno generato dei mostri a troppe teste. Serpi in seno allo stesso Occidente che, totalmente ignoranti di millenni di storia in Medio Oriente, prima che azzerare i cristiani o gli sciiti, stanno azzerando i sunniti stessi e trasformando per paura, per necessità, per ignoranza, centinaia di persone pacifiche in vittime della loro stessa fede alterata ed estremizzata, carnefici di altri musulmani prima che degli infedeli. Come? Con in una mano il Corano, con l’altra l’AK47 e addosso la GoProhero. La Tarantino Style Jihad è appena iniziata. Buona visione.
Fuck you, benvenuto a Baghdad
- Dettagli
- Categoria: On the fields
- Pubblicato Giovedì, 26 Giugno 2014 07:49
- Scritto da Battgirl
Ero assolutamente certa che avremmo fatto amicizia. Ma non in quel modo tanto strambo. Un modo che ti fa pensare quanto le parole abbiano una storia, siano portatrici di odio o di speranza, di incomprensioni e azioni. Per poi avere un esito imprevedibile, nel bene o nel male.
Taher sta in piedi a guardare gli altri giocare. Periferia di Baghdad. La moschea di Kadhimiya è sullo sfondo; la strada non è asfaltata, i compagni vestono tutti le magliette del Real Madrid e del Chelsea, una sola è del Milan, ma tutti pestano il pallone che è un piacere. Il pallone vola lontano. Taher vorrebbe prenderlo ma non lo può raggiungere: ha un piede conciato per bene, meglio non calciare troppo.
Poi però arriva la reporter occidentale e allora si prende la rivincita. Mentre lei sta scattando con il teleobiettivo la disposizione strategica dei compagni di calcio, lui attira la sua attenzione con uno “Jalla", vieni.
E appena ti ha davanti, in tono allegro e confidenziale, ti dice “Fuck you”. Sì, proprio così, “Fuck you": vaffanculo. E te lo dice con amore, con gioia. Con onore. Con compiacimento. E’ un benvenuto piantato sopra la sua gamba di plastica che ha sostituito quella vera, fatta di carne, muscolo, cartilagine, ossa, slancio, calcio, traiettoria, tiro, goal.
Tu sorridi all’inizio divertita, poi ti chiedi se intorno sia nascosto un adulto o se, sooner or later, quella marmaglia farà la tua Canon a pezzi. Invece no, tutti ridono rilassati e il ragazzo ripete “Fuck you” come fosse un benvenuto. E gli altri pure dicono “fuck you”. Chissà se mentono, se sanno cosa significa, se si lasciano sopraffare dalla scimmia che alberga in noi e che vien fuori solo quando siamo in compagnia e non riusciamo più a smettere di ridere per delle stupidaggini.
E mentre tutti abbandonano la partita improvvisata per farsi fotografare, mettersi in posa, sciamare davanti all’obiettivo, e uno di loro inizia ad apostrofare il compagno per il fatto di essere così ignorante da non sapere cosa significhi “Fuck you”, dopo dieci anni di occupazione americana, io mi domando chissà, quando e da chi Taher abbia sentito e imparato quelle parole.
Ho immaginato un soldato americano, un giovane di vent’anni che piantona lo stesso posto per mesi. Uno che non vede l’ora di andar via da questo fottutissimo Paese. Uno che mette il prefisso fuck a qualsiasi cosa, come un contractor che ho conosciuto, per il quale, da fuckin’-mother a fucking-bread, ogni cosa è percepita come una potenziale minaccia alla propria esistenza.
E poi ho immaginato il ragazzino ripetere queste parole come un mantra e gridarle, perché aveva veramente capito cosa significano, il giorno in cui aveva messo il piede su una mina e si era ritrovato con la gamba in mano.
Cartoline da Baghdad 1, lo scemo del villaggio
- Dettagli
- Categoria: On the fields
- Pubblicato Lunedì, 16 Giugno 2014 10:41
- Scritto da Battgirl
Nei suoi occhi, anche se mediata dallo schermo, ho visto tutta la voglia di conquista del Saladino, la crudeltà di Gengis Khan, lo slancio sportivo di un Carl Lewis. Eppure, a fargli imporporar le guance, è solo l’idealismo, l’eccesso ormonale di un ragazzo di appena 18 anni. Uno che ricorda Baghdad da piccolo e non c’è mai più tornato perché il padre è stato estradato dal Paese per avere denunciato gli orrori di Falluja. Uno che è vissuto bene, in un ricco Paese del Golfo, ma sempre con gli orrori della guerra in casa, una madre divenuta disabile per una ferita di guerra, un padre psicologicamente bipolare e traumatizzato.
Così, quando A. mi ha detto con enfasi “ci riprenderemo Baghdad”, ho capito in un battito di ciglia – le mie, perché non ci potevo credere – ciò che una cinquantina di articoli di geopolitica non riescono a spiegare. Vale a dire, perché migliaia di iracheni esultano all’idea dell’avanzata di Daesh/Isil. “Ci riprenderemo Baghdad, Baghdad è nostra”. Me l’ha ripetuto un’altra volta e ho ringraziato Dio per il fatto che il suo è ancora l’idealismo di chi si siede su un divano e gioca alla playstation, e dunque è tendenzialmente innocuo.
Ma chissà cosa farebbe A. se potesse partire, chissà se partirebbe per riconquistare la sua Baghdad, che gli è stata tolta dall’infanzia e dove suo padre non può mettere più piede. Chissà, se sapesse oleare un kalashnikov che suo padre non gli ha mai dato in mano perché è un uomo di pace. Quelli come lui, con più mobilità di lui, più grandi di lui e con la soglia di ragionevolezza abbassata, piuttosto che tifare come in una partita di calcio, preferirebbero essere i calciatori. Combattenti, armati, eroi per un sogno di riconquista fino alla morte, per riscattare gli orrori che hanno subito i padri, per ridare una casa sulla terra a un fantasma del passato.
Non è la prima volta che sento questa frase. “Ci riprenderemo Baghdad” ha echeggiato nella mia mente per qualche secondo, poi l’ho rivista sul labiale di un cinquantenne ossuto e pazzo che deambulava per strada al mattino delle ultime elezioni. In shara Baghdad c’era solo lui, mezzo nudo, alle 6.30 del mattino, e gridava. Gridava “maledetto al-Maliki, maledetti americani, maledetti tutti che ancora andate a votare, poveri scemi”. Apostrofò anche me, sputandomi quasi in faccia, pensando che fossi irachena, pensando che andassi a votare.
Lo incontrai di nuovo al ritorno dalla giornata elettorale alle ore 3 del pomeriggio. Stessa strada, stessi portici. Teneva le mani alzate e un soldato delle forze speciali, armato fino ai denti e imbottito come un palombaro, premeva il fucile automatico sulla sua tempia destra. Intorno, una decina di persone stavano a guardare. L’ufficiale intimava all’uomo che “basta, non ti permettere, statti zitto, non parlare più”. Era una scena di violenza rappresa, sospesa. Non un rumore intorno, nella Baghdad deserta di quel giorno eccezionale. Solo quei due nel cono d’ombra dei portici che si sfidavano ad armi impari e un pubblico che non ha bisogno di pagare per godere di questi spettacoli. Da un lato la forza goffa, dall’altro l’allerta della follia. Di fronte il sonno della ragione. Forse per questo nessuno intorno intercedeva, tentava di sottolineare che quello era solo un pazzo, uno dei tanti che lo son diventati clinicamente dopo un conflitto di dieci anni e una vita successiva di stenti e paure. La canna era sempre ben poggiata sulle sue tempie mentre lui, il “pazzo”, sibilava “Stai attento, ci riprenderemo Baghdad”.
Chissà se quell’uomo era veramente pazzo, uno scemo del villaggio qualunque; chissà se, invece, non era la coscienza collettiva di quei dieci che si godevano la scena e di tutti gli altri, dispersi per il mondo, che sognano ancora le rose nel giardino di Karrada, una bandiera a tre strisce orizzontali, rossa, nera e bianca, senza alcuna scritta color verde sciita in mezzo, e che sono arrivati a sostenere la mafia islamica e criminale di Isis per liberarsi di un’altra che ha il colletto bianco, il turbante degli ayatollah e il portafogli a stelle e strisce.