Fuck you, benvenuto a Baghdad

Categoria: On the fields
Pubblicato Giovedì, 26 Giugno 2014 07:49
Scritto da Battgirl

 

Bambini a BaghdadEro assolutamente certa che avremmo fatto amicizia. Ma non in quel modo tanto strambo. Un modo che ti fa pensare quanto le parole abbiano una storia, siano portatrici di odio o di speranza, di incomprensioni e azioni. Per poi avere un esito imprevedibile, nel bene o nel male.


Taher sta in piedi a guardare gli altri giocare. Periferia di Baghdad. La moschea di Kadhimiya è sullo sfondo; la strada non è asfaltata, i compagni vestono tutti le magliette del Real Madrid e del Chelsea, una sola è del Milan, ma tutti pestano il pallone che è un piacere. Il pallone vola lontano. Taher vorrebbe prenderlo ma non lo può raggiungere: ha un piede conciato per bene, meglio non calciare troppo.

Poi però arriva la reporter occidentale e allora si prende la rivincita. Mentre lei sta scattando con il teleobiettivo la disposizione strategica dei compagni di calcio, lui attira la sua attenzione con uno “Jalla", vieni.


E appena ti ha davanti, in tono allegro e confidenziale, ti dice “Fuck you”. Sì, proprio così, “Fuck you": vaffanculo. E te lo dice con amore, con gioia. Con onore. Con compiacimento. E’ un benvenuto piantato sopra la sua gamba di plastica che ha sostituito quella vera, fatta di carne, muscolo, cartilagine, ossa, slancio, calcio, traiettoria, tiro, goal.


Tu sorridi all’inizio divertita, poi ti chiedi se intorno sia nascosto un adulto o se, sooner or later, quella marmaglia farà la tua Canon a pezzi. Invece no, tutti ridono rilassati e il ragazzo ripete “Fuck you” come fosse un benvenuto. E gli altri pure dicono “fuck you”. Chissà se mentono, se sanno cosa significa, se si lasciano sopraffare dalla scimmia che alberga in noi e che vien fuori solo quando siamo in compagnia e non riusciamo più a smettere di ridere per delle stupidaggini.


E mentre tutti abbandonano la partita improvvisata per farsi fotografare, mettersi in posa, sciamare davanti all’obiettivo, e uno di loro inizia ad apostrofare il compagno per il fatto di essere così ignorante da non sapere cosa significhi “Fuck you”, dopo dieci anni di occupazione americana, io mi domando chissà, quando e da chi Taher abbia sentito e imparato quelle parole.


Ho immaginato un soldato americano, un giovane di vent’anni che piantona lo stesso posto per mesi. Uno che non vede l’ora di andar via da questo fottutissimo Paese. Uno che mette il prefisso fuck a qualsiasi cosa, come un contractor che ho conosciuto, per il quale, da fuckin’-mother a fucking-bread, ogni cosa è percepita come una potenziale minaccia alla propria esistenza.

E poi ho immaginato il ragazzino ripetere queste parole come un mantra e gridarle, perché aveva veramente capito cosa significano, il giorno in cui aveva messo il piede su una mina e si era ritrovato con la gamba in mano.