La fine dell'età forte

Ma poi succede qualcosa che ti fa rinsavire e che ti restituisce alla condizione di essere umano completo, pieno di debolezze ma che di quelle si fa forza: la fine di un amore, la nascita di un figlio con la certezza che non sarai mai un perfetto genitore, la morte di un padre o di una madre, una malattia che tutti dicono incurabile. Oppure l'esperienza del viaggio, quello vero, lontano, nel cuore del diverso, del non conosciuto. La conoscenza della povertà e della guerra di altri mondi, della tortura e dell’ umiliazione, ma senza disperazione, degli altri. Sai che solo la rassegnazione e una fiducia incrollabile in Dio li tengono in piedi.

Di fronte alle debolezze dell'essere umano cos'è dunque quella felicità che dicevi di provare? La vita vale la pena viverla in funzione della ricerca di quella felicità? E, se conquistata, una volta conquistata, questa felicità è bastevole? Essa - intendo quella felicità - non è tutto ma non è nemmeno nulla. E’ solo qualcosa di importante ma non totalmente la più importante della tua vita.

Dunque cosa è importante? I 40 anni insegnano una cosa, che spiega perché qualcuno li abbia chiamati "giro di boa": insegnano che ciò che conta è la vita stessa, il suo respiro, la sua essenza. Il suo tendere verso la sua fine che ne rende il presente - ogni presente - prezioso e inestimabile. Insegnano che - a prescindere dal credo o dalla filosofia che diciamo di praticare - bisogna vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, come se dovessi morire domani. In quel presente, con tutto il suo carico di umana responsabilità, è il segreto della felicità consapevole. Consapevole della sua debolezza e della bellezza delle piccole cose.

L’autore del Salmo 90 pregava Dio così: "Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. Ecco, se siamo all'inizio di un percorso che vale la pena concludere nel migliore dei modi, sarebbe bello saper far di conto. E verificare, una volta arrivati fino in fondo, quel che si augurava Moulana Jalal al-Deen Rumi che, nella sua saggezza sufi, non avrebbe avuto voglia di vedere processioni pietose sul suo corpo temporale bensì di essere ricordato in una certezza di immortalità impietosa. Rumi diceva:”Quando saremo morti non cercate nelle nostre tombe sotto terra, le troverete nel cuore degli uomini”.

Anche lì, nel cuore degli uomini incontrati, incrociati, attraversati, sfiorati, sarebbe opportuno che qualcuno facesse sempre i conti, a conti fatti e giochi finiti dell'età forte, fortissima.

 

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