Baghdad dieci anni dopo: perché rischiamo una celebrazione patetica

Il primo articolo su cui cade l'occhio si apre con questa frase: «Era una notte limpida a Baghdad». Un altro recita: «Sono passati dieci anni dall'Iraq dopo i conti di una guerra sbagliata». ll terzo: «Chi non si ricorda della statua di Saddam...». Poi, ce n'è uno di Peter Beaumont, che mi sbatte sul muso la storia di un tizio, un Abu Mohammed tra i tanti. Uno che infila la porta di casa, sbaglia crocicchio, lo fermano le milizie e gli sparano a un piede, così, per sport. Perché questo è l'Iraq. Questa è Baghdad oggi.

Ma il fatto che oggi si celebri il l'"anniversario" e che i media, dopo dieci anni, scrivano, senza se e senza ma, che questa è stata "l'occupazione americana", non deve farci piacere. Gli stessi media che oggi si scagliano contro gli Stati Uniti solo perché il mostro di Abu Ghraib venne scoperchiato in (quasi) tutti i suoi dettagli, dieci e meno anni fa; gli stessi che si eccitavano alla vista dello "spettacolo" di Baghdad bombardata; ancora gli stessi che mediatizzavano uno dei peggiori crimini del mondo occidentale contro l'Oriente e contro uno dei simboli della cultura di tutti i tempi come il trionfo della liberazione; tutti costoro lo hanno fatto per compiacere il popolo bue, guadagnare più soldi e sperare dalla comunità internazionale che venisse loro garantita una unità da embedded per l'inviato di turno.

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