Così vicini, così lontani: homeless in Catania

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La serata non stava andando nel migliore dei modi. Eravamo una decina, attoniti e preoccupati, attorno a M. e Johnatan. Dopo quella frase non era facile capire cosa sarebbe potuto succedere. Lui, Johnatan, aveva urlato in faccia a M. una roba  poco piacevole, una cosa del tipo: "Stai zitto, faccia di prete del cxxxo, stammi lontano, pezzo di mxxxa di chiesa, mi fai schifo perchè mi giudichi". Ma M. non è mica un prete. E' un ragazzo credente, colto e pieno di idee. Avrà pure avuto la faccia da prete (che poi cosa vuol dire avere la faccia da prete?) ma chi lo conosce bene sa che non ha nessuna voglia di giudicare il prossimo suo. Eppure Johnatan l'aveva puntato. E adesso, il resto della serata - in sintesi, se risolverla con un'amicizia o con una pugnalata - dipendeva solo dai suoi nervi.


A piazza della Repubblica, a Catania, la notte non si è mai soli. Un principio che vale per chi dorme sotto le stelle, cioé sotto i portici. Qui, da qualche mese, i senza tetto hanno creato una enclave, un sorta di tenda circondata per due parti da un muro, per una da filo spinato e per la quarta riparata da un paio di lenzuoli, stesi a mo' di separè, in modo che i ratti, se vogliono, chiedano permesso prima di entrare. Ogni sera i senza tetto ricevono la ronda dei volontari, da quelli strutturati e riconoscibili, come Caritas e Cri, ad altri, non improvvisati ma organizzati sul passaparola.


Stasera è Natale e i soliti noti della ronda decidono che l'unione fa la forza. Così cattolici, cristiani avventisti, mormoni e seguaci di Sai Baba si mettono insieme e fanno a gara ad assistere, portare da mangiare, vestire, parlare, fare amicizia. Con alcuni homeless è più facile, con qualcuno persino divertente. Con Johnatan no.


Abdoulaye, Eyoume e Modou sono figli dell'emergenza Libia 2011. Tutti arrivati con i barconi. Due dalla Libia, uno dalla Tunisia. Uno è maliano, un altro burkinabè. I volontari che parlano inglese (due) son facilitati nella comunicazione, gli altri si aiutano con un po' di italiano e molti gesti o stanno solo a guardare. E così capisci che sono seduti vicini ma sono lontani, lontanissimi. Uno dei due africani ci ha messo due giorni per affrontare la traversata, quasi due anni fa, un altro due settimane. Uno è arrivato via terra. Su una cosa sola sono d'accordo entrambi: "Vabbè che ci portate da mangiare e vestire ma noi vogliamo lavorare". Vallo a spiegare ai volontari: molti di loro sono precari e disoccupati e grazie che ci sono dei genitori pensionati disposti  a prederseli sul groppone.


Che beffa deve essere stata questo pezzo della vita per Abdoulaye, dormire per terra nella piazza intitolata all'uguaglianza tra cittadini, allo strumento per eccellenza della volontà popolare. Ma, in fondo, di cosa si dovrebbe lamentare? Lui non è un cittadino italiano. E' un cittadino del mondo. E alla nostra Repubblica, l'appartenenza al genere umano sembra davvero troppo poco per concedere una carta d'identità.


Un chilometro più in là, sotto altri portici, ci sono i polacchi, Vask e Tamara. Braccianti, da diversi anni in Sicilia, saltano da una serra all'altra. Odiano il pomodoro, guai a parlare loro di pomodorini che raccolgono un paio di mesi l'anno. Entrambi sono braccia strappate all'industria dell'Est. Tamara, per non farsi sopraffare dalla malinconia, beve. Racconta dei figli che non vede da anni, dell'errore di essere scappata da casa con uomo poco di buono, della vergogna di tornare indietro, della coinquilina che l'ha sbattuta fuori perche beve, degli uomini, compagni di (s)ventura che la notte allungano le mani su di lei perchè, insomma, hanno bisogno pure della figa. "Ma io mi difendo, sai, io mi difendo". Stasera ci ha chiesto acqua francese. Ma noi non ne abbiamo. Mi dispiace Tamara: no vodka no party, non sono George Clooney.


All'inizio mi ero chiesta se Johnatan fosse uno di quelli in cerca di figa. Poi ho capito che no, non era possibile. Ci ha chiesto soldi tutta la sera e aveva pensato di mettere le mani adosso a M. (il ragazzo con la "faccia da prete") perchè M. era contrario all'idea di dargli alcuni euro. Nessuno riusciva a capire bene la sua storia anche perchè Johnatan, che ha cinquantanni ma li porta da dio, parla solo inglese e tedesco, nonostante conosca tutto il repertorio di bestemmie in italiano. Ha una fama di violento: meglio starci lontano, dicono. Invece, non ho capito perché, aveva deciso che quella sera l'avrei aiutato io. E io ho deciso che sì, quei pochi soldi glieli avrei dati.


Cosa poi ci avrebbe fatto, Dio solo lo sa. Forse droga, forse no, forse la telefonata in Germania che diceva di voler fare. Appena i soldi spariscono nella tasca dei suoi pantaloni, si solleva la T-shirt per farmi vedere sul suo petto magro e nervoso la controluce sulla pelle di una piastra di peacemaker: mi dice che è malato da anni di aids e che per questo ce l'ha con i preti, perchè uno di loro gli aveva detto che quella malattia era una punizione per i suoi comportamenti sessuali.


Non credo che Johnatan sia gay, ma non posso escludere che non lo sia del tutto. Il suo viso è duro e triste come quello di un bulldog, le mani affusolate, bianche e lisce, come quelle di una pianista quindicenne.


Mi aveva detto che non mi avrebbe mai dimenticato mentre gli accarezzavo il viso come avrebbe fatto una Madre Teresa de noantri. Alla fine, sarà andato a recuperare acqua francese per sé o per la prima Tamara di passaggio. Di questo ne sono sicura. Se c'è vodka, c'è party. E stasera è Natale.

 

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