Intervista al generale Berto

CAMP ARENA (HERAT) - «Sono un fermo sostenitore della dottrina McChrystal e sono convinto che il suo sia stato il modo migliore di condurre le operazioni in Afghanistan». Il generale Claudio Berto, a capo del Regional Command West, si esprime così, alla luce della rimozione, decisa dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, del General Commander statunitense dall’incarico assunto nel giugno 2009.

«Il punto di forza della dottrina McChrystal – continua Berto – è concentrare tutte le attività militari nella protezione della popolazione. Da questa scelta derivano una serie di attenzioni, azioni o inazioni fondamentali in questo teatro di guerra».

Ad esempio?

«A Farah e Shindand siamo riusciti a conquistare e mantenere libertà di movimento sul territorio sia di giorno che di notte. La popolazione collabora attivamente con noi, segnalandoci pericoli, ordigni esplosivi improvvisati nelle strade di passaggio dei convogli, ci chiede protezione dagli insorgenti».

Non si può ancora dire lo stesso della zona a Nord-Ovest, a Bala Murghab.

«Qui siamo ancora nella fase di allargamento della cosiddetta bolla di sicurezza – un’area che presidiamo con dei capisaldi – e che adesso si estende fino a quasi 10 chilometri intorno alla base. Con questa operazione, denominata “Buongiorno”, ed eseguita spalla a spalla, un chilometro al giorno, insieme a militari afgani e americani, abbiamo fatto in modo che la popolazione sfollata altrove potesse tornare ad abitare nei villaggi vicini per lavorare la terra».

Ma, ad un chilometro al giorno, quanto tempo durerà la missione della Nato in Afghanistan? «Le attività contro gli insorgenti sono il fattore cruciale della riuscita della missione. Credo che riusciremo ad andarcene in un lasso ragionevole di tempo, quando le forze di sicurezza afgane riusciranno a prendere in mano la situazione da sole».

Non è la prima volta per lei, nel Paese. Nel 2003 era un comandante di livello tattico. I rischi per le forze Isaf sono diminuiti o sono aumentati sul terreno?

«La situazione del 2003 era quella di un Paese appena liberato, in fase di ricostruzione subito dopo la guerra, e l’esercito afgano era stato appena reclutato. Il rischio per le truppe Isaf, oggi, è più o meno lo stesso di allora, anche se la campagna condotta dai Taliban con gli ordigni esplosivi è più complessa da affrontare. Nonostante questo, in città come Herat la vita è tornata normale».

Ma lei pensava che sarebbe ritornato qui dopo sette anni?

«No, pensavo che il problema si risolvesse prima. Ma a volte non si tengono sufficientemente in conto le lezioni del passato: se guardiamo all’esperienza britannica in Malesia dove è nato il famoso motto “conquistare i cuori e le menti della popolazione”, ci rendiamo conto che qui, con McChrystal, si stava perseguendo questo obiettivo con particolare vigore, mentre prima era una strategia di secondo piano. McChrystal ci ha insegnato che le operazioni militari si possono fare anche così». 

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